Marisol Garcia Valles |
EL PASO, Texas - Quando il telefono cellulare ha squillato, la dicitura "numero privato" ha lampeggiato sullo schermo. Marisol Garcia Valles sapeva però chi stava chiamando. La minacciosa, misteriosa voce all'altro capo della linea l'aveva perseguitato per quasi quattro mesi.
Ma questa telefonata ha avuto un tono crudamente sinistro. L'uomo ha detto qualcosa che non aveva mai detto prima. Veniva a prendere - disse – Marisol, studentessa in criminologia, capo della polizia a 21 anni, nella cittadina di confine messicana di Praxedis G. Guerrero. "Alcune persone" volevano vederla, aveva aggiunto.
Lo stesso giorno – l’1 marzo - la madre aveva notato auto “strane” passare sotto la casa della famiglia. Marisol sapeva che era solo questione di tempo prima che “loro” chiudessero il cerchio. E lei non aveva dichiarato la guerra ai narcos, nel suo paesino di 3000 abitanti e come avrebbe potuto farlo, se non ci riusciva la polizia di stato? Aveva solo cercato di promuovere attività sociali e di assistenza in quella polverosa terra abbandonata da Dio. Vietato, evidentemente, anche quello.
La fuga negli Usa
Quel giorno chiamò il marito e gli disse di prendere il loro figlio di 1 anno: bisognava fuggire. Subito. I narcos non parlano, uccidono.
Quattro mesi dopo la notizia che aveva fatto il in tutto il mondo, dopo che l’avevano chiamata "la donna più coraggiosa del Messico", Marisol Valles Garcia tracciava una fuga precipitosa attraverso un confine nel West Texas, piste di terra battuta, squallore.
Davanti al percolo concreto di essere torturata o uccisa, con la sensazione di essere sola di fronte alla voce telefonica misteriosa lasciò il paese senza una valigia e con tanti rimpianti.
Con i suoi genitori, sorelle, marito e figlio, Marisol attraversò dunque il confine verso gli Stati Uniti e chiese asilo asilo.
"Sono venuto qui per la sicurezza che il mio paese non mi può fornire - ha detto in una recente intervista. - La paura però non passerà mai. Quello che ho vissuto è un timore che durerà tutta la vita."
Pochi giorni dopo aver lasciato il Messico Marisol ha appreso che la casa di sua madre era stata saccheggiata. Lei si nasconde negli Stati Uniti, mentre attende una pronuncia sla sua richiesta d’asilo che è un lungo procedimento giudiziario che potrebbe durare fino a tre anni – ha detto al El Paso l’avvocato Carlos Spector - e non c'è nessuna garanzia che autorità statunitensi accoglieranno la richiesta. Ma una cosa è certa: tornare in Messico sarebbe una condanna a morte.
"Non ho dubbi che sarà uccisa", ha detto Spector, che chiama Marisl "la Rosa Parks del Messico. E’ un trofeo per i cartelli della droga'".
Un lavoro che nessuno voleva
Lo scorso ottobre, Marisol Valles Garcia aveva preso un lavoro che nessuno voleva. Era diventata il capo della polizia di Praxedis G. Guerrero. Il capo della polizia precedente era stato assassinato. Sicari del cartello della droga gli avevano tagliata la testa.
Praxedis, situato a soli circa 35 km da Ciudad Juarez, la città più pericolosa del mondo, si trova in una regione che ha visto alcuni dei più sanguinosi conflitti tra cartelli rivali che si combattono per le rotte del contrabbando di eroina negli Stati Uniti.
Marisol era finita sotto i riflettori internazionali. Giornalisti da tutto il mondo erano venuti a Praxedisper raccontare la storia della donna che sognava di fare la differenza. “Abbiamo avuto una bella idea. Ecco perché ho accettato il lavoro – racconta adesso - Volevamo ripristinare la fiducia delle persone nella polizia".
Ma proprio nella prima settimana del suo nuovo lavoro, il telefono cellulare ha cominciato a squillare.
In un primo momento, l'uomo al telefono aveva cercato di convincerla a lavorare per “entrambe le parti”.
Per molti funzionari pubblici, in Messico, si tratta di un offerta comunemente denominato "plata o plomo" (argento o piombo): o accettare tangenti del cartello della droga, o trovarsi subito sul lato sbagliato della traiettoria di un proiettile.
La prevenzione sociale
Marisol ha rifiutato le offerte per mesi. Sapendo di non poter contrastare i cartelli della droga con la sua piccola forza di polizia, la sua missione presso il dipartimento di polizia era stato incentrata sulla prevenzione.
Aveva assunto 13 funzionari di polizia femminile. Si rifiutava di portare armi e non aveva mai usato guardie del corpo, a differenza di molti altri funzionati di enti pubblici in Messico.
"Sì, c'è paura", aveva poco dopo aver iniziato il lavoro. " Son ocome tutti gli esseri umani. Ci saranno sempre paura, ma quello che vogliamo realizzare nel nostro comune è la tranquillità e la sicurezza."Il suo del tentativo di spingere i bambini a rimanere a scuola e non per la strada e di aiutare le ragazze madri a trovare un lavoro stabile a pagamento.
Era un'offerta coraggiosa in una città piena di donne vedove della guerra della droga, dove molte famiglie si arrampicano sugli specchi per sopravvivere cadendo spesso preda di persone dei cartelli che offrono sempre soldi facili in cambio di “servizi”. Fermare questo cortocircuito avrebbe rafforzato il successo della sua forza di polizia.
"Abbiamo cercato di aiutare le persone che i cartelli volevano reclutare – racconta Maris - Non credo che a loro piacesse. Stavamo cercando di aiutarli a fare una vita migliore."
Ma forse ingenuamente, Marisol ribadisce che non si aspettava di essere perseguitata dalla sua città natale da parte della malavita Narco.
"Pensavo di aver chiarito che la nostra azione era incentrata su questioni sociali- racconta -. Non avevamo intenzione di attaccarli. Questo era il compito dello Stato e della polizia federale."
Ma le minacce continuavano ad arrivare. Fino alla sua fuga.
Non potrà più tornare
Ora, lei combatte le lacrime mentre riconosce che non potrà mai tornare nell'unico posto dove abbia mai vissuto, un violento mondo corrotto, ma dove molti dei suoi amici e della famiglia rimangono.
Marisol è devastata al pensiero che non tornerà più a casa, delusa di non essere riuscita a terminare il suo mandato di tre anni come capo della polizia della cittadina dove era nata e cresciuta. Ma, ancora, è orgogliosa della sua opera.
"Abbiamo almeno fatto la differenza, abbiamo dato alle persone un po’di speranza", dice.
E’ durato poco.
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