lunedì 20 giugno 2011

La Corte Suprema Usa boccia una class-action promossa dalla dipendenti dei supermercati Wall-Mart per discriminazione sessuale

Una dimostrazione di protesta di dipendenti di Wall.Mart
WASHINGTON - La Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che un'enorme class-action contro i magazzini Wal-Mart  attinente alla discriminazione fondata sul sesso non può procedere, ribaltando così  una decisione della nona corte d'appello di Appello di San Francisco. La causa potrebbe coinvolgere fino a 1,6 milioni di attuali ed ex dipendenti di Wal-Mart e miliardi di dollari di danni
La Corte ha stabilito che gli attori possono ancora proseguire la causa, ma  da soli e non con una class action e in questo senso senso  molto meno denaro entrerebbe  in gioco. La Corte, in una decisione che è stata unanime su questo punto (in altre argomrentazioni ci sono stati 4 voti contro), ha detto che gli avvocati dei querelanti "avevano impropriamente citato una parte delle regole di class action in un caso in cui non si trattava principalmente di crediti pecuniari".La corte non ha deciso se Wal-Mart avesse infatti discriminato le donne, solo  non ha potuto procedere  sulla base di una class-action per il motivo sopra detto. La decisione dsu questo punto influenzerà ogni genere di class-action, nel campo dell'antitrust, dei titoli e delle violazioni responsabilità del prodotto. 
La denuncia contro Wall-Mart era scattata dieci anni or sono con l'uscita allo scoperto di alcune dipendenti che hanno messo sotto accusa l'intera cultura aziendale di un gruppo da sempre considerato schivo, avverso al sindacato e con radici nel cuore degli Stati Uniti, in Arkansas, ma che di recente si era sforzato di ammorbidire l'immagine. Una tra le leader dell'offensiva, Christine Kwapnoski, aveva rivelato che un manager uomo le intimava di "farsi bella", di truccarsi e vestire meglio. E che le dipendenti donne sotto di lui erano oggetto di sfuriate e violenze verbali al contrario dei colleghi di sesso maschile.
Sulla base di questi e altri j'accuse un giudice federale di San Francisco, Martin Jenkins, nominato al suo incarico dal presidente democratico Bill Clinton nel 1997, si era pronunciato a favore della trasformazione delle denunce in azione collettiva. Gli episodi tradirebbero cioè una penalizzazione generalizzata delle donne nei 3.400 negozi americani nel periodo considerato, dal 1998 in avanti, sia sotto il profilo della carriera e delle promozioni che dei compensi. 
Contro la conclusione del magistrato, però, si era scagliata Wal-Mart. Che s'era difesa a spada tratta: il suo avvocato Theodore Boutros, nel presentare l'appello arrivato alla Corte Suprema, aveva sostenuto che comportamenti quali quelli descritti "non sono affatto rappresentativi", bensì aneddoti
L' azienda, nata nel 1962 e che ivanta 16 miliardi di profitti annuali, afferma di aver adottato esplicitamente una politica che vieta la discriminazione e promuove la diversità. E indica che le sue analisi non mostrano alcuna differenza nel 90% dei suoi punti vendita tra paghe di lavoratori e lavoratrici con indentiche mansioni. In realtà era stato il fondatore di Wal-Mart, Sam Walton, ad ammettere nel 1992 che la tradizionale cultura dell'azienda, prevedendo frequenti spostamenti dei dirigenti, danneggiava dipendenti qualificate. E i legali delle donne avevano citato tra i capi d'accusa questa politica, a loro avviso rimasta invariata anche dopo il 2001, la data della presentazione della denuncia.

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