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Lea Garofalo |
MILANO - I giudici della I corte d'Assise di Milano hanno condannato all'ergastolo i 6 imputati del processo con al centro il sequestro e l'omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sciolta nell'acido. I giudici hanno inflitto l'ergastolo, con isolamento diurno di due anni, a Vito e Carlo Cosco, quest'ultimo l'ex compagno della vittima. La pena dell'ergastolo, con l'isolamento diurno di un anno, e' stata inflitta a Giuseppe Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabotino. Per la figlia di Lea Garofalo, Denise, che si e' costituita parte civile contro il padre, Carlo Cosco, e' stato disposto un risarcimento di 200.000 euro. Ergastolo, con un anno si isolamento diurno, anche per Carmine Venturino.
Sono state accolte le richieste del pm Marcello Tatangelo che aveva chiesto l'ergastolo per tutti gli imputati definendoli "6 vigliacchi" che hanno ucciso una donna.
Un riconoscimento al coraggio di Denise, la figlia di Lea Garofalo, che si e' costituita parte civile contro il padre, Carlo Cosco, condannato all'ergastolo per l'assassinio della madre, arriva dal fondatore di 'Libera', don Ciotti. "Dobbiamo inchinarci davanti a una ragazza coraggiosa - ha affermato don Ciotti, dopo la lettura del dispositivo - ha avuto il coraggio di spezzare i cerchi mafiosi e l'omerta', l'ha fatto per sua madre". I giudici hanno anche condannato i sei imputati a versare al Comune di Milano, che si era costituito parte civile, la somma di 25mila euro.
La vicenda
Lea Garofalo era una collaboratrice di giustizia sottoposta a protezione dal 2002, quando aveva deciso di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. L'azione di repressione del clan Garofalo si concretizza il 7 maggio 1996 , quando i carabinieri di Milano svolgono un blitz in via Montello 7 ed arrestano anche Floriano Garofalo, fratello di Lea, boss di Petilia Policastrodedito al controllo dell'attività malavitosa nel centro lombardo.
Floriano Garofalo, nove anni dopo l'arresto e dopo l’assoluzione al processo viene assassinato in un agguato nella frazione Pagliarelle di Petilia Policastro l'8 giugno 2005. Lea, interrogata dal pm Antimafia Sandro Dolce, riferì dell'attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo.
Lea dichiara al pm inoltre che attribuisce la paternità, fornendo oltretutto anche il movente, all'ex convivente ed al cognato, Giuseppe, detto Smith, dal nome di una marca di pistole. «L' ha ucciso Giuseppe Cosco, mio cognato, nel cortile nostro». Ammessa già nel 2002 nel programma di protezione insieme alla figlia e trasferita a Campobasso, se lo vede revocare nel 2006 perché l’apporto dato non era stato significativo. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma, ma nell’aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – decide all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di tornare a Petilia Policastro, per poi trasferirsi di nuovo a Campobasso in una casa che le trova proprio l’ex compagno Carlo Cosco.
Il tentativo di rapimento
Il 5 maggio 2009, Lea Garofalo vive nella città di Campobasso con la figlia Denise. A causa di un guasto alla lavatrice, la donna decide di chiamare l'ex compagno Carlo Cosco, residente a Milano per metterlo a corrente della situazione e l'uomo, dal suo canto, le invia nell'abitazione Massimo Sabatino. Si tratta però non di un idraulico ma di un trentasettenne recatosi sul posto per rapire ed uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all'agguato grazie al tempestivo intervento della figlia Denise e informa i carabinieri dell'accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell'ex compagno. Lea Garofalo conosceva, infatti, molti segreti della faida fra le famiglie Garofalo e Mirabelli di Petilia Policastro e si sarebbe dovuta recare, nel mese di novembre del 2009, a Firenze per depositare la sua testimonianza in un processo. In quella occasione avrebbe potuto svelare situazioni nelle quali il suo ex compagno era direttamente coinvolto. A pochi giorni dalla scomparsa è il giudice per le indagini preliminari di Campobasso, Teresina Pepe, a dichiarare immediatamente di sospetti a carico di Cosco disponendone, insieme a Massimo Sabatino, l’ordine di custodia cautelare: «È possibile affermare che Cosco avesse un interesse concreto sia a vendicarsi di quanto la Garofalo aveva già detto, sia ad evitare che potesse riferire altro».
L'agguato e l'omicidio
Era il novembre del 2009 quando Cosco attirava l'ex compagna in via Montello 7 a Milano con l'intento di parlare del futuro della loro figlia Denise. Alcune telecamere inquadrarono madre e figlia nelle ore del pomeriggio lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale: sono gli ultimi fotogrammi prima della scomparsa definitiva di Lea Garofalo. Il piano per il rapimento era stato organizzato quattro giorni prima: il noleggio del furgone da un cinese di via Paolo Sarpi, i 50 litri di acido, l'arma del delitto, il magazzino dove svolgere l'interrogatorio e l'appezzamento dove la donna è stata successivamente sciolta nell'acido. Sabatino e Venturino rapirono la donna in strada e la consegnarono a Vito e Giuseppe Cosco, i quali la torturarono per ore per farla parlare e poi la uccisero con un colpo di pistola. Il corpo venne portato in un terreno nel Comune di San Fruttuoso (Monza) ed in quel luogo venne sciolto nell'acido.