sabato 7 gennaio 2012

Altri due tibetani si danno fuoco per protesta nel Sichuan



SHANGHAI - Due tibetani - un monaco e un laico -  si sono immolati ieri nella provincia del Sichuan per protestare contro l'occupazione del Tibet. Lo riferiscono fonti di associazioni che si battono per i diritti civili. Un monaco e un laico insieme si sono dati fuoco. Secondo le prime informazioni, uno sarebbe morto mentre l'altro è ricoverato in ospedale. 
Il laico, secondo testimoni, avrebbe gridato slogan per il ritorno del Dalai Lama, poco prima che arrivassero gli agenti per spegnere le fiamme e portarlo in ospedale.
Le auto-immolazioni dei monaci tibetani “rimarranno per sempre nella memoria, un’icona della continua sofferenza e delle continue violazioni dei diritti umani della popolazione tibetana a opera del regime cinese. Pechino ha scelto una volta di più la forza e vuole mettere a tacere le voci di chi chiede libertà, invece di ascoltare le proteste”. Tsering Tsomo, direttore esecutivo del Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, commenta così per AsiaNews la continua repressione del Tibet e delle province cinesi a maggioranza tibetana. 

Negli ultimi 9 mesi, 15 fra monaci e monache buddisti hanno scelto di darsi fuoco in pubblico per protestare contro le violenze cinesi e l’esilio del Dalai Lama. Le immagini di questi religiosi in fiamme hanno fatto il giro del mondo, scatenando un acceso dibattito sulla scelta estrema da loro compiuta. Lo stesso Dalai Lama ha più volte chiarito che il buddismo tibetano “non ammette il suicidio” e ha chiesto ai suoi monaci di “usare la pazienza e la compassione” invece di togliersi la vita. Al contrario, alcuni gruppi estremisti di tibetani in esilio hanno scelto di usare queste auto-immolazioni come forma di lotta contro il regime cinese. 

Secondo Tsomo, 36enne nato in esilio in India, “la comunità internazionale conosce bene le sofferenze dei tibetani che vivono in Tibet. In modo particolare, il regime comunista ha aumentato la repressione contro le donne: secondo alcune nostre fonti, le autorità locali hanno aumentato l’uso del controllo delle nascite e implementato la legge del figlio unico”. Secondo la stessa legge, invece, le minoranze etniche non sono soggette all’obbligo di procreare una volta sola. 

Il problema è anche culturale: “La propaganda cinese utilizza la lingua e l’ideologia cinese, con cui educa i nostri ragazzi. Si tratta di un’enorme violazione dei diritti umani, proprio un genocidio culturale. Ma è nell’interesse della stessa Cina mantenere calmo il Tibet, dato che la stabilità della provincia è fondamentale per l’equilibrio del Paese. Tuttavia, se non succede qualcosa in fretta, il 2012 diverrà un anno fatto di spirali sempre più negative”. 

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