Dovrà scontare 14 mesi di carcere. Lui: "non chiederò misure alternative, e tanto meno la grazia". Il segretario della FNSI: “Decisione sconvolgente”. Il presidente dell'Ordine: "Intimidazione a tutti i giornalisti"
Alessandro Sallusti annuncia le sue dimissioni in redazione |
ROMA - La Cassazione ha confermato la condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata nei confronti del direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Il ricorso del giornalista è stato rigettato.
La V Sezione Penale ha inoltre condannato Sallusti alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E' stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti.
La decisione su dove e come il giornalista dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Lo si è appreso da fonti della stessa Cassazione. Al Tribunale di Sorveglianza i legali di Sallusti potranno chiedere le misure alternative al carcere.
La decisione su Alessandro Sallusti è "sconvolgente", per il segretario Fnsi Franco Siddi. "E' una norma illiberale nell'ordinamento di paese dalla costituzione democratica - aggiunge Siddi all'ANSA - che sconfigge e mortifica la libertà di espressione, e priva un uomo della libertà personale. I giornalisti sapranno dare una risposta unitaria e straordinaria, oggi dobbiamo sentirci tutti condannati come Sallusti".
Ai suoi collaboratori il direttore del "Giornale" ha comunicato che si dimette dal suo incarico ed è intenzionato ad andare in carcere. Ritiene una "sentenza politica" il verdetto pronunciato dalla Cassazione e non vuole chiedere misure alternative alla galera. La sentenza sarà esecutiva tra trenta giorni. "Chiedere la grazia? No. La grazia la chiede uno che sa di aver sbagliato, io sono convinto di non meritare quella sentenza, quindi perché dovrei chiedere scusa di un reato che non ho commesso? Poi bisognerà vedere cosa succederà sulla porta del carcere, ma per ora dico di no". 'Mi rifiuto di essere rieducato da qualcuno, credo che l'affidamento deve avvenire per qualcuno che spaccia droga magari anche per qualche politico che ruba'', ha poi detto il direttore del Giornale, spiegando di non avere intenzione di chiedere l'affidamento ai servizi sociali.
Il giornalista ha parlato di problematiche più ampie che riguardano il diritto di esprime le proprie opinioni. "Siamo di fronte a un problema reale: siamo l’unico paese occidentale in cui uno può andare in carcere per delle idee. Non parliamo di diffamazione, l’articolo incriminato propone una tesi molto forte che può offendere qualcuno, ma è una tesi, è un ragionamento politico e culturale. Siamo nel campo dell’opinione e non si può andare in carcere per un’opinione. Se dovesse andare tutto bene continuerò a fare il mio lavoro e mi auguro che questo rischio apra gli occhi alla classe politica perché si regoli in maniera più equa la materia e si risolva il problema una volta per tutte".
Il giornalista ha parlato di problematiche più ampie che riguardano il diritto di esprime le proprie opinioni. "Siamo di fronte a un problema reale: siamo l’unico paese occidentale in cui uno può andare in carcere per delle idee. Non parliamo di diffamazione, l’articolo incriminato propone una tesi molto forte che può offendere qualcuno, ma è una tesi, è un ragionamento politico e culturale. Siamo nel campo dell’opinione e non si può andare in carcere per un’opinione. Se dovesse andare tutto bene continuerò a fare il mio lavoro e mi auguro che questo rischio apra gli occhi alla classe politica perché si regoli in maniera più equa la materia e si risolva il problema una volta per tutte".
Per il giornalista, dunque, si aprono ora le porte del carcere: la Suprema Corte ha rigettato il suo ricorso. Al centro del processo gli articoli, ritenuti diffamatori nei confronti del giudice tutelare di Torino Giuseppe Cocilovo, pubblicati sul quotidiano Libero nel 2007 e riguardanti il caso di un aborto di una ragazza tredicenne. L'accusa per Sallusti era quella di diffamazione aggravata in relazione ad un corsivo, firmato con lo pseudonimo "Dreyfus".
Con una nota dell'ufficio stampa della Suprema Corte, la Cassazione ritiene che "è opportuno precisare" aspetti del caso Sallusti "non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi". Per prima cosa la falsità della notizia contenuta nell'articolo anonimo attribuito a Sallusti.
"Ci saranno le argomentazioni giuridiche per sostenere una decisione del genere ma le conseguenze della decisione della Cassazione rappresentano un'evidente intimidazione a tutti i giornalisti". Lo ha detto il presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, commentando la decisione della Cassazione. "L'Italia - ha aggiunto - precipita a livelli di quarto mondo. Che si vada in carcere per un'opinione è qualcosa che non avremmo mai immaginato in un Paese che continua a proclamarsi culla del diritto".
Tante le manifestazioni di solidarietà anche da parte dei colleghi giornalisti. "È un triste giorno per la libertà di stampa e per la giustizia italiana: la mia completa solidarietà al collega Alessandro Sallusti", dice Mario Sechi, direttore del Tempo, "Ci ritroviamo i disonesti in libertà che diventano star televisive e i giornalisti in prigione. C’è molto da riflettere sulla civiltà giurifica di questo paese, e non solo giuridica".
"Sallusti deve andare in galera per una cosa del genere, e quei delinquenti che hanno rubato alla regione Lazio sono tranquilli fuori? Sono davvero schifato", ribatte Vittorio Feltri, "La responsabilità oggettiva è un assurdo: il diffamato deve essere risarcito dal punto di vista economico, non mandando in galera la gente. Non me la prendo con i giudici, perché applicano la legge e la legge dà loro strumenti importanti, che vanno dal temperino al mitra. A volte usano il primo, a volte il secondo e hanno la discrezionalità per farlo. Il problema è che questa legge sulla diffamazione è sbagliata e fascista, la stessa Unione europea più volte ha raccomandato all’Italia di conformarsi alle disposizioni europee. Solo in Italia è prevista la galera per reati a mezzo stampa".
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