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ROMA - "Non c'e alcun timore di franchi tiratori al Senato, anche perché ieri c'e' stata una discussione seria, lunga al termine della quale il partito si e' espresso chiaramente". Lo ha detto il presidente del consiglio, Matteo Renzi, arrivando al Nazareno per partecipare alle segreteria del partito. "Ora si tratta di definire il documento nelle varie fattispecie", ha concluso Renzi. A chi gli chiede se per arrivare all'elezione dei due giudici della corte costituzionale ci sarà' bisogno di virare su due diversi nomi da quelli di Donato Bruno e Luciano Violante, il premier risponde che "e' una valutazione che spetta al parlamento".
Ieri il segretario del Pd ha portato a casa il sì della direzione del Pd a un documento che modifica la delega lavoro accogliendo alcuni rilievi delle minoranze, ma la mediazione che si era cercata fino all'ultimo fallisce, la minoranza si divide tra 20 voti contrari e 11 astenuti. La lunga discussione, oltre quattro ore, della direzione sul Jobs Act ha visto momenti al calor bianco con gli interventi i Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani. E una relazione del segretario volta a scuotere il partito. Renzi ha spronato la direzione a "superare i tabu' del passato" e ha posto due elementi di metodo: nessuno usi la clava, "se la minoranza non sono i Flinstones, io non sono la Tatcher", e se e' vero che serve un compromesso, non lo si deve raggiungere "a tutti i costi". Il Pd, ora, forte del suo 41 per cento non deve temere "le trame altrui", i "poteri aristocratici". Ora "dobbiamo andare all'attacco" togliendo le posizioni di rendita ai tanti che ne hanno goduto. Detto questo "se vogliamo dare diritti ai lavoratori, non lo facciamo difendendo una battaglia che non ha piu' ragione di essere", come quella sull'articolo 18. Renzi ha aperto ai sindacati, ma li ha anche sfidati: "Sono disponibile a riaprire la sala verde di palazzo Chigi la prossima settimana a Cgil-Cisl-Uil, ma li sfido sulla rappresentanza sindacale, il salario minimo, la contrattazione di secondo livello". Il susseguirsi degli interventi di Massimo D'Alema prima e Pierluigi Bersani poi, faceva capire che la strada per la mediazione era in salita. L'ex presidente del consiglio, in particolare, ha definito l'azione del governo Renzi "tutta improntata a slogan e spot" quando, invece, servirebbe un'azione piu' "riflessiva" perche' "per occuparsi di certi temi, non occorre sapere le cose. Ma, certo, studiare sarebbe utile". In particolare, D'Alema ha rimproverato a Renzi la volontà di operare sul mercato del lavoro in una fase di recessione: "Stiglitz spiega infatti che si riforma il mercato quando c'e' la crescita. Ma Stiglitz, mi rendo conto, e' un vecchio rottame della sinistra. Un premio Nobel. Premio che difficilmente vedranno i giovani consiglieri del Pd...". Ancora più duro Bersani che ha accusato il premier e segretario di partito di ricorrere al metodo Boffo per mettere a tacere il dissenso interno.
Mentre dall'esterno rimbalzavano i giudizi negativi di Cgil e Uil, la trattativa diventava sempre più' difficile e il no alla richiesta di una parte di area riformista di votare il documento finale per parti separate ha consegnato al voto una direzione in cui l'86 per cento ha votato a favore della linea del segretario (130 componenti) e le minoranze si sono divise tra astenuti (11 voti)e contrari (20 voti). "la minoranza si e' divisa", nota tra il soddisfatto e il sollevato un esponente di spicco del Pd. Da domani il testo della legge delega sarà all'esame del Senato e la battaglia si spostera' su alcuni emendamenti.
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