mercoledì 9 gennaio 2013

Trattativa stato-mafia: forse “un parziale intesa tra parti in conflitto”, dice Pisanu


ROMA - "Sembra logico parlare, più che di una trattativa sul 41 bis, di una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto". Lo dice Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia, nelle sue comunicazioni finali sui grandi delitti e le stragi di mafia del '92-'93.
"Noi conosciamo le ragioni e le rivendicazioni che spinsero Cosa nostra a progettare e ad eseguire le stragi, ma e' logico dubitare che agì e pensò da sola" sottolinea Pisanu. "Di certo - rimarca - non prese ordini da nessuno, perché ha sempre badato al primato dei suoi interessi e alla autonomia delle sue decisioni. Tuttavia, quando le èconvenuto, quando vi è stata convergenza di interessi, non ha esitato a collaborare con altre entità criminali, economiche, politiche e sociali".
"I vertici istituzionali e politici del tempo, dal Presidente della Repubblica Scalfaro ai presidenti del Consiglio Amato e Ciampi, hanno sempre affermato in tutte le sedi di non aver mai, in quegli anni, neppure sentito parlare di trattativa. Penso - affErma Pisanu - che non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto".
"Tuttavia -spiega Pisanu- rimane il sospetto che dopo l'uccisione dell'onorevole Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre Cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato. In particolare l'onorevole Mannino, ministro per il Mezzogiorno nella prima fase della trattativa (lascio' l'incarico del giugno del 1992), avrebbe preso contatti a tal fine con il comandante del Ros, generale Subranni. Sull'onorevole Mannino -ricorda Pisanu- pende ora una richiesta di rinvio a giudizio per il reato aggravato di minaccia ad un corpo politico, amministrativo e giudiziario. Analoga richiesta, ma per un periodo diverso, pende sul senatore Marcello Dell'Utri".
"Occorre anche ricordare -prosegue Pisanu nelle sue comunicazioni- che Nicola Mancino, ministro dell'Interno dal giugno 1992 all'aprile 1994 e' stato indicato, per sentito dire, dal pentito Brusca e da Massimo Ciancimino come il terminale politico della trattativa. Il primo lo indica stranamente associandolo al suo predecessore Rognoni che, peraltro, aveva lasciato il ministero dell'Interno del 1983, 9 anni prima dei fatti al nostro esame; il secondo è' un mentitore abituale. Audito dalla nostra commissione -sottolinea Pisanu- Mancino e' apparso a tratti esitante e persino contraddittorio. La Procura di Palermo ne ha proposto il rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Le posizioni degli ex ministri Mannino e Mancino sono ancora tutte da definire in sede giudiziaria: una semplice richiesta di rinvio a giudizio non può dare corpo alle ombre".
"Formalmente -ricorda Pisanu- la trattativa si concluse nel dicembre 1992 con l'arresto di Vito Ciancimino. Un mese dopo, il 15 gennaio 1993, fu arrestato il capo dei capi Toto' Riina. Se i due arresti fossero riconducibili in qualche modo alla trattativa, quale sarebbe stata la contropartita di Cosa nostra? La mancata perquisizione del covo di Riina -chiede ancora Pisanu- e la garanzia di una tranquilla latitanza di Provenzano che, proprio per questo e per prenderne il posto, avrebbe venduto il suo capo? E alla fin fine, quale sarebbe stato il guadagno dell'astuto mediatore Vito Ciancimino?".
"Allo stato attuale della nostra inchiesta -rimarca il presidente della commissione- non abbiamo elementi per dare risposte plausibili. Quel che possiamo dire e' che i Carabinieri e Vito Ciancimino hanno cercato di imbastire una specie di trattativa. Cosa nostra li ha incoraggiati, ma senza abbandonare la linea stragista; lo Stato in quanto tale, ossia nei suoi organi decisionali, non ha interlocuito e ha risposto energicamente all'offensiva terroristico-criminale".

Nessun commento: