GENOVA - Continuano le ricerche di Bartolomeo Gagliano, il 55enne evaso a Genova mercoledì durante un permesso premio. L'uomo è stato segnalato in diverse località della Liguria, ma probabilmente sarebbe in fuga verso la Francia. Un'immagine confermerebbe questa ipotesi. Intanto una lettera del giudice smentiscono le parole del direttore del carcere, che aveva detto di non sapere che Gagliano fosse un omicida.
Cancellieri: "Si sapeva la sua storia" - Che i precedenti del killer fossero noti, poi, lo ha ribadito anche il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, riferendo alla Camera sulla vicenda: "Sia il magistrato di sorveglianza che il carcere erano a conoscenza dell'ampio curriculum criminale di Bartolomeo Gagliano".
Gagliano, tre omicidi alle spalle, è armato, probabilmente ha con sé una pistola calibro 7.65 ed è pronto ad usarla. Avrebbe addirittura aver fatto una rapina ad Alassio, per “autofinanziarsi”. Nulla viene lasciato al caso: gli investigatori stanno controllando una decina di persone che hanno avuto contatti con il killer, nell'ipotesi che possano averlo aiutato durante la fuga verso la Francia o la Spagna. Le ultime foto segnaletiche risalgono a cinque anni fa ed è probabile che Gagliano possa aver cercato di cambiare aspetto: al momento dell'evasione aveva i capelli corti e brizzolati.
In carcere si sapeva che fosse un omicida - La fuga del serial killer ha scatenato un vespaio. Lo sa bene il giudice di sorveglianza Daniela Verrina che ha firmato il permesso premio. Il provvedimento - spiega però il magistrato - è stato preso "su basi legittime, dopo un lungo studio delle relazioni che riportavano da tempo una compensazione del disturbo psichiatrico, lucidità, capacità di collaborare, tranquillità e nessun rilievo psicopatologico". L'ispezione interna avviata per verificare eventuali responsabilità non è ancora conclusa. Il ministero ha ovviamente ricevuto tutta la documentazione in merito.
Da un primo esame non sembrerebbero emergere irregolarità amministrative. Il fascicolo che ha accompagnato l'istanza di permesso, infatti, contiene le osservazioni dell'equipe di psichiatri e psicologi che seguiva il detenuto, l'estratto della sua cartella personale, il parere del direttore del carcere, Salvatore Mazzeo. Sotto osservazione però sono proprie alcune dichiarazioni e la posizione di quest'ultimo, che ha detto di non sapere degli omicidi. "Stano agli atti, per noi era solo un rapinatore", aveva detto Mazzeo poche ore la fuga. Parole che ora pesano come macigni e di cui dovrà assumersi le responsabilità.
Un killer camorrista non torna dal permesso a Pesaro
Un collaboratore di giustizia, ex camorrista, non sarebbe rientrato nel carcere di Pescara allo scadere delle 8 ore concesse come permesso premio il 15 dicembre scorso. Pietro Esposito, 47 anni, aveva finito di scontare la pena per due omicidi ed era in prigione proprio per una precedente evasione. Prima di pentirsi, sarebbe stato uno dei killer protagonisti della faida di Scampia. E' il secondo caso in due giorni dopo la fuga di Bartolomeo Gagliano.
Fedelissimo del clan Di Lucia, stretto alleato dei Di Lauro, Esposito aveva da poco finito di scontare sei anni di prigione. Si trovava ancora in carcere per una condanna inflittagli proprio in seguito a una precedente evasione.
Con le sue dichiarazioni consentì di far scattare l'ordinanza di custodia nei confronti del boss Paolo Di Lauro. Da pentito fece individuare anche i responsabili dell'omicidio della 23enne Gelsomina Verde, nel quale era coinvolto, uccisa perché fidanzata di un esponente degli Scissionisti. A concedere il permesso premio era stato il giudice di sorveglianza di Pescara, Maria Rosaria Parruti. In corso la caccia all'uomo.
Una delle sue vittime fu torturata e bruciata - Gelsomina Verde fu torturata, uccisa e bruciata nel 2004, a 22 anni, durante la faida di Scampia. Esposito attirò in trappola la ragazza e la condusse da Ugo De Lucia, killer del clan Di Lauro, che la seviziò per indurla a rivelare il nascondiglio di Enzo Notturno, esponente del gruppo rivale degli "scissionisti". Gelsomina tuttavia non era in grado di fornire notizie; fu uccisa a colpi di pistola e poi bruciata nella sua utilitaria. Il delitto suscitò sdegno per la brutalità di De Lucia, che nel processo, conclusosi il 4 aprile del 2006, fu condannato all'ergastolo. A Pietro Esposito, che nel frattempo era diventato collaboratore di giustizia, fu invece inflitta la pena di sette anni e quattro mesi, in primo grado poi ridotta a sei anni.
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